Arturo Nathan tra Metafisica e Realismo magico
Mart di Rovereto (TN)
E' in corso fino al primo maggio al Mart di Rovereto l'interessantissima mostra su "Arturo Nathan. Il contemplatore solitario", a cura di Alessandra Tiddia.
Triestino di origine ebrea,
vittima di persecuzione razziale sotto il regime fascista, deportato e ucciso
dai nazisti nel campo di concentramento di Biberach am Riss nel 1944, Arturo Nathan è poco noto al grande
pubblico, ma merita di essere conosciuto e soprattutto riconosciuto come
interprete del clima culturale mitteleuropeo e in particolare di Trieste e di
Milano tra gli anni Venti e Quaranta. Fu amico di Giorgio De Chirico che lo
avvicinò alla Metafisica, di Italo
Svevo e di altri grossi personaggi del primo Novecento, subì l'influenza della
psicanalisi di Freud, ebbe una visione 'malata' della vita che forse considerava
"inquinata alle radici" come la definisce lo stesso Svevo ne "La
coscienza di Zeno". L'autoanalisi è il primo gradino della conoscenza di
sé e del mondo, ma in Nathan non approda ad alcuna certezza. Si rappresenta
anzi come una sagoma disumanizzata e senza volto, enigmatica e persa in una
realtà sconvolta, paludosa e in
disfacimento o caratterizzata da un'immobilità senza tempo. Il sentimento di
solitudine e di solitaria ricerca della verità, il senso di inadeguatezza di
fronte al destino e alla realtà, tipico dei protagonisti del '900, dominano la
pittura di Nathan, che rivela un' impronta metafisica, in quanto contrappone la
consapevolezza dei limiti dell'uomo alla nostalgia di un mondo antico e
perduto, di cui l'anima rimane in perenne contemplazione. Infatti in molti
quadri l'uomo, o l'autore stesso, è ritratto di spalle, in un'immobilità
pensosa e non ha lineamenti definiti del volto, ma ha soltanto il valore di una
presenza che va al di là dello spazio e del tempo. Nathan rappresenta spesso se
stesso come un asceta o un sognatore o un esiliato, caratterizzato dalla
solitudine e dall'abbandono in un mondo estraneo, sinistro, ostile o forse
indifferente. Statue solitarie di stampo classico, statiche teste di cavallo
greco, che simboleggiano la possibilità di una fuga intravista, ma non
realizzabile, campeggiano in un paesaggio desolato, oscuro e apocalittico con
vulcani in eruzione, mare in tempesta, barche naufragate, cielo cupo e
minaccioso. Si intravvede, in tutto questo, un rapporto esasperato tra ciò che
è orrendo e spaventoso e ciò che è sublime. Il colore viene usato con taglio
espressionista e ha la funzione di trasmettere sentimenti di tristezza, malinconia
e nostalgia del passato. Il mare è sempre una presenza inquietante, può
rappresentare il mare dell'inconscio, dell'immensità, della ricerca di un
significato al di là del reale. Si può anche vedere a questo punto un
collegamento con l' "Allegria di
naufragi" di ungarettiana memoria.
Quella che il critico Antonello Trombadori definisce con un efficace ossimoro
la "serena disperazione" di Nathan si coglie facilmente in alcune
opere contenenti immagini surreali e metafisiche, che, riesumando con pochi
tratti elementi della mitologia classica, comunicano un senso di desolazione,
di incertezza, di paura del futuro.
Lidia
Bertacchi
Tutti i diritti riservati - Copyright by Lidia Bertacchi © 2022
Nessun commento:
Posta un commento