mercoledì 20 aprile 2022

ARTURO NATHAN tra Metafisica e Realismo magico - recensione di Lidia Bertacchi © 2022

Arturo Nathan tra Metafisica e Realismo magico 

Mart di Rovereto (TN) 

recensione di Lidia Bertacchi  © 2022
                                                                          

E' in corso fino al primo maggio al Mart  di Rovereto l'interessantissima  mostra su "Arturo Nathan. Il contemplatore solitario", a cura di Alessandra Tiddia.  

Triestino di origine ebrea, vittima di persecuzione razziale sotto il regime fascista, deportato e ucciso dai nazisti nel campo di concentramento di Biberach am Riss nel 1944, Arturo Nathan è poco noto al grande pubblico, ma merita di essere conosciuto e soprattutto riconosciuto come interprete del clima culturale mitteleuropeo e in particolare di Trieste e di Milano tra gli anni Venti e Quaranta. Fu amico di Giorgio De Chirico che lo avvicinò alla Metafisica, di Italo Svevo e di altri grossi personaggi del primo Novecento, subì l'influenza della psicanalisi di Freud, ebbe una visione 'malata' della vita che forse considerava "inquinata alle radici" come la definisce lo stesso Svevo ne "La coscienza di Zeno". L'autoanalisi è il primo gradino della conoscenza di sé e del mondo, ma in Nathan non approda ad alcuna certezza. Si rappresenta anzi come una sagoma disumanizzata e senza volto, enigmatica e persa in una realtà sconvolta,  paludosa e in disfacimento o caratterizzata da un'immobilità senza tempo. Il sentimento di solitudine e di solitaria ricerca della verità, il senso di inadeguatezza di fronte al destino e alla realtà, tipico dei protagonisti del '900, dominano la pittura di Nathan, che rivela un' impronta metafisica, in quanto contrappone la consapevolezza dei limiti dell'uomo alla nostalgia di un mondo antico e perduto, di cui l'anima rimane in perenne contemplazione. Infatti in molti quadri l'uomo, o l'autore stesso, è ritratto di spalle, in un'immobilità pensosa e non ha lineamenti definiti del volto, ma ha soltanto il valore di una presenza che va al di là dello spazio e del tempo. Nathan rappresenta spesso se stesso come un asceta o un sognatore o un esiliato, caratterizzato dalla solitudine e dall'abbandono in un mondo estraneo, sinistro, ostile o forse indifferente. Statue solitarie di stampo classico, statiche teste di cavallo greco, che simboleggiano la possibilità di una fuga intravista, ma non realizzabile, campeggiano in un paesaggio desolato, oscuro e apocalittico con vulcani in eruzione, mare in tempesta, barche naufragate, cielo cupo e minaccioso. Si intravvede, in tutto questo, un rapporto esasperato tra ciò che è orrendo e spaventoso e ciò che è sublime. Il colore viene usato con taglio espressionista e ha la funzione di trasmettere sentimenti di tristezza, malinconia e nostalgia del passato. Il mare è sempre una presenza inquietante, può rappresentare il mare dell'inconscio, dell'immensità, della ricerca di un significato al di là del reale. Si può anche vedere a questo punto un collegamento  con l' "Allegria di naufragi"  di ungarettiana memoria. Quella che il critico Antonello Trombadori definisce con un efficace ossimoro la "serena disperazione" di Nathan si coglie facilmente in alcune opere contenenti immagini surreali e metafisiche, che, riesumando con pochi tratti elementi della mitologia classica, comunicano un senso di desolazione, di incertezza, di paura del futuro.

                                                                                                       Lidia Bertacchi

 

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